lunedì 30 novembre 2015

Quello che ci piace I Accogliere e condividere (anche il calore di un fuoco)

L’inverno è il tempo del conforto, del buon cibo, del tocco di una mano amica e di una chiacchierata accanto al fuoco: è il tempo della casa.
(Edith Sitwell)


1

2


3
4

5

6

7

8

mercoledì 25 novembre 2015

Le interviste | Ora tocca a me

Alla fine tocca anche a me, polepole, presentarmi. 
Mi tocca, ma sono un animale un po' schivo, quindi lasciamo stare le presentazioni e veniamo alle domande... :)





POLEPOLE
Ciao! Chi sei? Cosa fai?
Sono Silvia, l'età conta poco ma dicono ne abbia 42, di anni. Faccio la mamma, la moglie, la geometra, sogno l'architettura, leggo, ascolto, imparo, studio, continuo a studiare e gioco tanto. Ho troppe passioni, lo dicono in tanti, e saltello dall'una all'altra senza fermarmi mai, e se per caso nel frattempo ne scopro una nuova mi butto anche su quella.

Come Abiti? Voglio dire, come vivi, come è fatta la tua giornata tipo in rapporto alla casa dove abiti?
Casa vuol dire amore. Anche se vivessi da sola, sarebbe solo questa la definizione che ne darei. Perché prima di tutto è amore per sé e per l'Esistenza e per la Vita che ci circonda. Come Abito? vivo a fondo ogni attimo.E uso il servito buono per me e non solo per gli altri. E quando sono a casa (uff, troppo poco, a mio parere) mi concedo vizi e stravizi.A volte abbandono tutto a se stesso per qualche giorno e la casa pare vivere di vita propria... forse lo fa davvero!

Qual è il pezzetto di Casa che vivi di più, quello in cui ti senti più te stessa?
Amo la mia cucina e me la sono costruita proprio come la volevo io: grande, con un sacco di spazio e una tavola per tanti amici. Ultimamente - da quando i bimbi hanno iniziato a conquistare un territorio sempre più ampio - mi sono ritirata in camera e ho cominciato a dedicarle tempo e attenzioni, scoprendo che non è poi così male ritirarsi in un angolo e osservare tutto da un punto di vista diverso dal solito... Allora ho dato colore nuovo alle pareti, ho tolto, tolto, tolto ogni cosa superflua e da quel momento tutti respiriamo meglio. Ah, in casa è entrata la lavastoviglie prima di me :)
Il prossimo oggetto che toglierai dalla tua Casa e quello che aggiungerai. 
Toglierò tutti i mettitutto. Sì, quei contenitori dove ammucchi oggetti trovati per casa, quelli che stanziano per mesi su ogni superficie d'appoggio, sfruttando la pericolosissima frase "provvisoriamente lo metto qui": li farò fuori tutti, garantito!
E invece aggiungerò una poltrona-sacco (quella di Fantozzi, la conoscete, no?) in soggiorno, anche se non c'è tantissimo posto. Quella che avevamo da fidanzati senza figli per casa l'ho depositata provvisoriamente (uff, ancora?) dai miei, è troppo grande per competere col bisogno di giocare dei bambini. E allora metterò mano a quella insieme a mammà, e la ridurremo alle dimensioni giuste per accogliere un posto in più e per regalare il dovuto relax a chi ne abbia bisogno. La vedrete presto, spero.

C'è una citazione, una frase famosa, una che hai coniato tu, che parli del tuo modo di vivere e di Abitare?

La mia casa è piccola ma le sue finestre si aprono su un mondo infinito. [Confucio]

martedì 10 novembre 2015

Accogliere, a modo mio | Il tema del mese

Welcome!
"Chi accoglie rende partecipe di qualcosa di proprio, si offre, si spalanca verso l'altro diventando un tutt'uno con lui. E anche se l'accoglienza di un vecchio amico siciliano può parere aliena rispetto all'accoglienza del conoscente giapponese, rimangono il medesimo fenomeno, diverso solo perché diverse sono le persone e le culture e il loro modo di aprirsi, il loro modo di fare entrare." [fonte: unaparolaalgiorno.it]
Credo che questa sia la definizione di "accoglienza" che più mi ha colpito tra le tante che ho trovato navigando in giro per il web. Non tanto per quell'aprirsi, mettersi a disposizione, di cui si parla, quanto per quel siciliano e quel giapponese: ce li vedo, loro due, stereotipi di due visioni diverse di una stessa qualità, a trovare un modo comune di accogliere, a ragionare su come sia meglio, accogliere, sulla quantità di offerta che si debba mettere a disposizione dell'ospite, sulla qualità.

Ognuno a modo suo.

Accogliere è davvero dare se stessi, nella misura che per ognuno di noi - in tempi diversi ma anche nel solito momento - è diversa. Accogliere, nella nostra casa, è dare disponibilità di sé e del proprio intimo, mettersi a nudo, sinceramente.
Io vedo che, quando allargo le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri. [Andrea Gallo]
Avete letto la visione di accoglienza e ospitalità che ci ha dato Gabri, nel suo ultimo post di benvenuto nella cucina della nostra Casa?
A casa mia vigeva la regola “dove si mangia in due, si mangia anche in quattro” e non c’è mai stata una volta in cui un ospite (spessissimo improvvisato, grazie a me e mia sorella…) non sia stato invitato a sedersi a tavola con noi tra i sorrisi, i sottoli, il pane (che non mancava mai), qualche fettina di formaggio, e due spaghetti sciué sciué che, non li facciamo?
Accogliere sarà il tema che cercheremo di seguire questo mese, parlando di condivisione, di comunità, di fare insieme. A modo nostro.

[Quanto a me, toscana con origini meridionali, la mia visione di accoglienza è pari pari quella del siciliano: accogliere è mettere a disposizione la propria casa, la propria tavola, il proprio letto. Accogliere è condividere la minestra preparata per tre e arricchirla per farla diventare 'minestra per sei'. Accogliere è far trovare lenzuola pulite e coperte e posti letto anche quando la casa ha una sola camera a disposizione]


martedì 3 novembre 2015

Mi casa es tu casa | La vita è una torta alla cannella





 foto Pinterest 

 Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della felicità di questa persona durante le ore che
egli passa sotto il vostro tetto.

(Anthelme Brillat-Savarin)

Ho avuto una madre rigida e severa, caparbia come pochi altri e tanto tanto permalosa… Ma una cosa è certa: se c’è qualcuno che devo ringraziare per avermi insegnato l’ospitalità, quel qualcuno è senz’altro lei.

A casa mia vigeva la regola “dove si mangia in due, si mangia anche in quattro” e non c’è mai stata una volta in cui un ospite (spessissimo improvvisato, grazie a me e mia sorella…) non sia stato invitato a sedersi a tavola con noi tra i sorrisi, i sottoli, il pane (che non mancava mai), qualche fettina di formaggio, e due spaghetti sciué sciué che, non li facciamo? E non era rimasto quel pezzetto di salsiccia secca? Che ci vuole, a fare un’insalatina di pomodori! Ma hai il bicchiere vuoto, bevi ancora un goccio di vino! La frutta, le noci… Insomma, sono cresciuta in un posto in cui ogni scusa era buona per fare festa intorno alla tavola. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se la cucina è diventata, col passare degli anni, il mio luogo dell’anima. Piccola, un po’ stretta, che quando eravamo in tanti (quindi una volta sì e l’altra pure), a me toccava il posto nell’angolino, che, a parte la scaramanzia e la frase con cui mi si tormentava ogni volta: “Se ti siedi nell’angolo non ti sposi!”, voglio dire, non è proprio il posto più comodo in cui sedersi per mangiare… E così crescendo ho iniziato a desiderare sempre di più una cucina grande, spaziosa, in cui potermi sedere senza il gomito del vicino nel piatto e la gamba del tavolo tra le mie; una cucina che potesse contenere i numerosi amici e gli ospiti improvvisati e in cui avere un posto tutto mio per sperimentare, impastare, starmene anche un po’ tra i miei pensieri, gli aromi e i profumi di forno e fornelli…

Certo, la vita ora che sono adulta è molto diversa da quella di quando ero ragazza e non sempre è facile avere il frigo ben fornito, il pane in dispensa e la voglia di avere tante persone intorno alla tavola. Ma nonostante la frenesia delle settimane lunghissime, la stanchezza e i conti che sempre più spesso non tornano, credo fermamente che l’amore passi anche attraverso il cibo, nella cura che mettiamo nel cucinare qualcosa a una persona che amiamo, nel senso profondo di accudimento nascosto in una torta preparata di corsa, col solo desiderio di far felice chi la mangerà, nella bellezza della condivisione, che ci fa sentire meno soli. Ha ragione Savarin (che –udite udite- ho scoperto essere l’inventore del liquore con cui una nota pasticceria francese decise di bagnare la macedonia di frutta che accompagnava il suo babà e da cui nacque il “babà Savarin”), quando invitiamo qualcuno a pranzo, ci impegniamo a fargli trascorrere delle ore piacevoli, a farlo sentire a casa, rilassato e, perché no, ci facciamo anche carico di un pezzettino della sua felicità.
E cosa c’è di più intimo di un’atmosfera calda e accogliente, chiacchiere allegre e leggere, qualcosa di buono da mangiare e la rilassante sicurezza di star bene insieme?

Allora entrate pure nella mia cucina, accomodatevi e rilassatevi, mentre io vi taglio una fetta di torta e accompagno lo sprigionarsi del profumo intenso della cannella e il gusto deciso del cioccolato fondente con un tè bollente… Che ne dite di un po’ di buona musica?

Ce la gustiamo insieme…



TORTA DI PERE CON CANNELLA E CIOCCOLATO



Ingredienti per uno stampo di 20 cm
Per la pasta brisée dolce
160 gr di burro freddo a pezzetti
250 gr di farina debole (setacciata)
4 gr di sale
10 gr di zucchero semolato
90 ml di acqua ghiacciata 
(mettetela un po' alla volta, potrebbe non servirvi tutta)
10 ml di aceto bianco

 Preparazione


Mettete la farina in una ciotola capiente e lavoratela col burro freddo tagliato a pezzetti e il sale, fino ad avere grosse briciole. Unite lo zucchero, l'aceto e a poco a poco l'acqua, avendo cura di non aggiungerla tutta insieme, ma solo quello che basta per ottenere una pasta liscia, omogenea ed elastica (non appiccicosa). Impastate per pochi minuti, rovesciando se preferite l'impasto su un piano di lavoro, avvolgetelo nella pellicola e fatelo riposare in frigo.


Nel frattempo, preparate il ripieno:

500 gr di pere Williams sbucciate e tagliate a pezzetti
130 gr di zucchero di canna
1 cucchiaino colmo di cannella
20 gr di cioccolato fondente
il succo di 1/2 limone
4-5 biscotti secchi


Tagliate a pezzetti le pere e mettetele in una ciotola, aggiungete il succo del limone, lo zucchero e la cannella e mescolate bene.
Riprendete la pasta brisée dolce, tagliatene 3/4, stendetela e rivestitevi il fondo di uno stampo imburrato e infarinato, ricoprite la base con un leggero starto di biscotti sbriciolati, versatevi sopra le pere (attenzione al liquido che avranno tirato fuori, se vi sembra troppo, non aggiungetelo), un altro po' di biscotti sbriciolati (vi aiuteranno ad asciugare l'umidità data dalla frutta e impediranno alla pasta di bagnarsi e perdere friabilità) e infine il cioccolato tritato grossolanamente. Stendete l'altra parte di pasta e ricoprite la torta, avendo cura di sigillare bene il bordo.
Spolverate la superficie con un cucchiaio raso di zucchero di canna e infornate a 180°/190° per circa 30-35 minuti. La torta è pronta quando sarà bella dorata.

 
   In sottofondo... The hunter, Jennifer Warnes